martedì 29 gennaio 2013

tappeto uncinetto

Girando per il web ho trovato questo tappeto...
è fatto a uncinetto
guardate un pò
http://falandodecrochet.blogspot.it/
 sullo stesso sito ci sono diversi modelli di tappeti e tanti punti uncinetto




sabato 26 gennaio 2013

Tillandsia

Questo è un esemplare di tillandsia cyanea, e questa è la sua condizione attuale

 quando l'ho comprata aveva questo fiore così particolare che naturalmente con il mio pollice nero si è seccato, così ho provato a cambiargli posto e sono riuscita a salvare  la pianta, almeno spero, sono passati solo alcuni mesi dall'acquisto

orchidee:dendrobium-phalaenopsis-cambria

L'ultimo regalo una splendida orchidea Dendrobium, speriamo di riuscire a farla vivere a lungo.




ecco un primo piano dei fiori
 la composizione è molto bella con le foglie d'edera che riempiono lo spazio sottostante
 sulla mensola in cucina ormai lo spazio è finito

 Questi due esemplari di phalaenopsis l'ho ricevute in regalo l'anno scorso e stanno rifiorendo, con mio grande stupore
 Qui c'è anche una cambria, che di foglie ne ha messe un pò ma i fiori non si vedono ancora

venerdì 25 gennaio 2013

BAIA Napoli


Baia La stazione termale dell'impero romano


http://youtu.be/MH-2vv-IbDo

giovedì 24 gennaio 2013

NAPOLI

Qualche informazione su un posto a me molto caro...
con storie che fanno venire i brividi

da wikipedia:


L'isola trae la propria denominazione dalle cavità che costellano la costa di Posillipo (dal latino cavea: "piccola grotta", e dunque attraverso la forma dialettale "caviola"). In origine, la piccola isola fu nota come "Euplea", protettrice della navigazione sicura e fu caratterizzata da un piccolo tempietto.
L'isola, come già accennato, è molto vicina alla costa, raggiungibile con poche bracciate di nuoto. Si suppone che, in origine, nient'altro fosse che il prolungamento del promontorio dirimpetto e che sia stata separata artificiosamente solo in un secondo tempo per volere di Lucullo.
Nel XVII secolo vediamo che questo lembo di terra era praticamente cosparso di fabbriche romane; mentre, due secoli dopo, l'isola fungeva da batteria a difesa del golfo. Negli anni venti è stata in funzione una teleferica che collegava l'isola alla terraferma[1].
All'inizio del XIX secolo, l'isola era abitata da un eremita, soprannominato "Lo Stregone", il quale viveva dell'elemosina dei pescatori. Poco dopo, l'isola vide la costruzione di una villa che la caratterizza ancora oggi. La villa, che nasce in posizione privilegiata, fu anche di proprietà del celebre Norman Douglas, autore della Terra delle Sirene.
La popolazione del luogo, generalmente, non ha mai visto di buon occhio la Gaiola, considerandola una sorta di "isola maledetta", che con la sua bellezza nasconde "sorti inquiete", nomea dovuta alla frequente morte prematura dei suoi proprietari; ad esempio, negli anni venti del 900, appartenne allo svizzero Hans Braun, il quale fu trovato morto e avvolto in un tappeto; di lì a poco, la moglie annegò in mare. La villa passò così al tedesco Otto Grunback, che morì d'infarto mentre soggiornava nella villa. Simil sorte toccò all'industriale farmaceutico Maurice-Yves Sandoz che morì suicida in un manicomio inSvizzera; il suo successivo proprietario, un industriale tedesco dell'acciaio, il barone Paul Karl Langheim, fu trascinato al lastrico dagli efebi e dalle feste, dei quali di solito amava circondarsi[1]. Infine, l'isola è appartenuta a Gianni Agnelli che subì la morte di molti familiari; passò poi a Paul Getty che fu ricattato dallo stesso nipote e, successivamente, a Gianpasquale Grappone, che rimase coinvolto nel fallimento della sua società di assicurazioni "Colombo" nel 1978.
Messa all'asta, l'isola è diventata proprietà della Regione Campania.




DA GIALLI.IT
La maledizione nell’ultimo secoloNel 1926 la villa era collegata alla terraferma da una rudimentale teleferica. In una notte di tempesta il cavo si spezzò mentre una signora tedesca, Elena Von Parish, stava rientrando sull’isola. La donna venne rapita dal mare e sparì. Hans Praun e Otto Grumbach, che ospitavano la donna alla Gaiola, furono talmente scossi dalla vicenda che si suicidarono: uno subito, e l’altro qualche tempo dopo aver fatto ritorno in Germania.
Questa vicenda, nel freddo piovoso dicembre napoletano, aprì le porte alla leggenda della Maledizione della Gaiola. Vennero infatti ricollegati due precedenti infausti eventi. Verso la fine del XIX sec. il primo proprietario e costruttore della villa, Luigi de Negri, mandò in fallimento la sua Società della Pescicoltura del Regno d’Italia nel Mar di Posillipo, che aveva sede proprio alla Gaiola. Invece nel 1911 il Capitano di Vascello marchese Gaspare Albenga, per far ammirare la costa alla marchesa Boccardi Doria, fece incagliare l’incrociatore corazzato San Giorgio sulla secca della Cavallara, proprio in prossimità della Gaiola.
In breve tempo l’isola venne comunemente riconosciuta come jellata, e gli eventi che seguirono alimentarono ulteriormente questa leggenda.  Una barca di scugnizzi marinaretti del collegio Ascarelli-Tropeano fu travolta nel 1931 dalle onde sullo stesso scoglio della CavallaraMaurice Sandoz, titolare della nota casa farmaceutica, abitò sull’isola negli anni 1950, ma finì in una clinica psichiatrica dove si suicidò convinto di essere finito in bancarotta.
Qualcuno cercò di cambiare la fama sinistra della villa. Il barone tedesco Paul Karl Langheim negli anni a cavallo del 1960 fece brillare di vitalità quell’angolo di Posillipo, organizzando feste ed incontri mondani. Un periodo tanto splendente da mandarlo rapidamente sul lastrico.
Fu allora che Giovanni Agnelli acquistò la villa, lasciandola generosamente ancora per qualche tempo in uso a Langheim. Il re dell’automobile fece alcune importanti opere come l’eliporto, ma ci andò di rado e la rivendette rapidamente ad un altro miliardario. Paul Getty, magnate del petrolio, entrò in possesso della villa  nel 1968. A lui tutto filò liscio fino al 1973, quando la ‘ndrangheta rapì il figlio. Dopo l’amputazione di un orecchio del ragazzo, la famiglia Getty pagò un riscatto di 17 milioni di dollari.
Nel 1978 l’isola passò a Gianpasquale Grappone, detto Ninì, creatore del Loyd Centauro. Finì in galera travolto dai debiti, ed il giorno in cui la villa fu messa all’asta, la moglie Pasqualina Ortomeno morì in un incidente stradale.
La proprietà sull’isola infine andò nelle mani della Regione Campania, che la affittò a varie associazioni. Nessuna di queste però mantenne la promessa di restaurare l’edificio, e la cattiva fama della villa non fu mai cancellata.
Il periodo classico, la magia medioevale e le disgrazie antiche.L’area della Gaiola è costellata di ruderi dell’epoca romana. Lì vi fu la villa di Publio Vedio Pollione, un uomo della cui vita si sa poco. Di certo allevava murene in apposite vasche scavate nel tufo, e di tanto in tanto le cibava gettando schiavi vivi, quelli che si mostravano un po’ maldestri.
La fama spietata del romano sicuramente contribuì alla creazione di miti e leggende legate alla zona del Pausilypon, ovvero la costa tra Trentaremi e Marechiaro. Fino al XIX secolo era ben visibile accanto all’isola della Gaiola un edificio romano semisommerso chiamato la Scuola di Virgilio. Nell’interpretazione medievale del poeta-mago, questo era il luogo dove il vate insegnava arti magiche. Non c’è quindi da stupirsi dell’interesse esoterico verso questo tratto di costa, dove venivano incantate pozioni ed eseguiti riti magici. Una variante della leggenda della Gaiola vuole che lo specchio d’acqua intorno all’isola sia stato inquinato proprio dai resti delle pozioni create lì. Da cui il maleficio si sarebbe diretto verso chi vi permaneva per troppo tempo.
Si sa, la storia dell’uomo è un percorso a ostacoli. Difficoltà e disgrazie di ogni genere vengono riportate nei racconti e nelle memorie di chi li ha vissuti. Così, nel ricostruire la storia della jettatura della Gaiola, possiamo ritrovare un paio di eserciti liberatori sbarcati lì nel XVII sec., e repentinamente annientati dagli occupanti spagnoli.
Un’altra leggenda tramandata dal passato vorrebbe sull’isola un tempio della Venere Euplea, protettrice dei naviganti. Pare che l’origine di questa convinzione risieda nell’antico nome dell’isola, Euploea, come riportato da Stazio e dal Pontano. Dopo i recenti avvenimenti che hanno coinvolto la famiglia Ambrosio, proprietaria della villa prospiciente l’isola, si è riaccesa la teoria della dea pagana come causa della jettatura.Ivan Cuocolo, docente di lettere presso le scuole superiori e appassionato delle storie sulla Gaiola, avrebbe individuato proprio nella fine del paganesimo la causa della maledizione. La dea Euplea sarebbe adirata con i profanatori del luogo sacro.
Una foto dimenticata, una nuova tessera nel puzzle del misteroNel 1820 l’archeologo Guglielmo Bechi acquistò l’area del Pausilypon ad un asta. Iniziò grandi lavori di scavi e portò alla luce alcuni edifici romani rimasti sepolti per secoli. Decise di costruire una villa panoramica sul promontorio prospiciente l’isola, e nel farlo incluse sia una cappella dedicata a S.Basilio,  sia alcuni ruderi romani adiacenti. Alla sua morte la figlia vendette tutta la proprietà al Negri, che nel 1874 costruì la tristemente celebre villa sull’isola. Quando l’imprenditore finì sul lastrico, l’intera proprietà fu acquistata dal marchese del Tufo.
Creando danni archeologici inestimabili, il marchese scavò una cava di pozzolana proprio tra villa Bechi e lo Scoglio di Virgilio, come ricorda Robert Theodore Gunthernel suo libro Posillipo Romana. Di certo del Tufo trovò alcuni oggetti romani durante gli scavi, tra cui una statua di figura femminile, ma non passò alla storia per le sue attenzioni verso la storia e l’arte romana. La proprietà passò poi a Gennaro Acamporae successivamente all’ammiraglio inglese Nelson Foley, cognato di Conan Doyle il creatore di Sherlock Holmes. Foley cedette la villa sulla terraferma a Norman Douglasda cui la riacquistò dopo alcuni anni. Infine fu la vedova Foley a vendere al senatoreGiuseppe Paratore la villa sulla terraferma nel 1910.
Nei decenni  a seguire si verificarono molte delle tragedie legate all’isola, mentre la famiglia Paratore sulla terraferma si godeva una vita serena. Augusto F. Segre, affezionato nipote del senatore, passava le estati insieme agli zii alla Gaiola. Come raccontato nell’articolo Storie e ricordi della Gaiola, scritto insieme al fratello Aldo nel 2003, verso la metà degli anni 1960 fece una incredibile scoperta.
Dovendo sistemare una libreria su di una parete di un salottino, venne levata una tela anti-umidità posta da Douglas. Dietro la tela apparve un affresco quadrato raffigurante una grande testa terrificante, di più di un metro di larghezza, forse raffigurante unagorgone. “Nostro zio, convinto che quel volto mostruoso portasse sfortuna, lo fece nascondere dietro una parete a matton per ritto”, raccontano i fratelli nel loro articolo. Ma Augusto Segre riuscì a fotografarlo prima dell’occultamento.
Un  membro dell’Istituto del Restauro a Roma, dopo aver visto la fotografia del mascherone, ha classificato l’affresco come una manifestazione della pittura detta impressionistica tardo-romana, databile tra il 2° e il 3° secolo d.C.
Il  Gunther conferma di aver riscontrato negli scavi archeologici di Pausilypon alcune pareti affrescate con tagli quadrilaterali. Quindi tutto lascia supporre che il mascherone sia stato sottratto dal suo luogo d’origine e poi apposto nella villa Paratore, ora villa Ambrosio, da uno dei precedenti proprietari della zona archeologica.
Poche certezze riguardano questa immagine, visto che nessuno si è mai interessato a saperne di più. I greci usavano raffigurare la Medusa decapitata per proteggersi dai nemici, e forse gli Ambrosio ignoravano di avere un simbolo protettivo in casa, anche se ad aprile stavano ristrutturando la villa.
Un affresco romano dal significato duale: porta-jella e protettivo. Il suo spostamento, l’occultamento, il silenzio sulla sua esistenza: si tratta di nuovi elementi per gli appassionati del mistero della Gaiola? Oppure è una storia di ordinario vandalismo archeologico dell’era moderna?
Cercasi Indiana Jones disponibile a far quadrare il cerchio.
(29 giugno 2009)

Gialli.it




giovedì 3 gennaio 2013

calligrafia

http://artid.com/members/calligraphy/blog/feed/copperplate/
alcuni video per calligrafia
http://www.bl.uk/catalogues/illuminatedmanuscripts/TourIntro2.asp
http://www.youtube.com/watch?v=3phzKsXpko8
http://www.johancalligrapher.com/

pennini

ecco la mia personale collezione di pennini d'epoca










mercoledì 2 gennaio 2013

calligrafia

Inizio questo nuovo anno con una nuova passione, ho infatti deciso di imparare la "calligrafia", allora iniziamo con un pò di storia della scrittura.


LE LETTERE ROMANE
Anche i Romani avevano una grande cura nel disegnare e scolpire le lettere delle scritte ufficiali: ancor oggi le lettere di tipo romano sono alcune tra le più belle, leggibili ed equilibrate. Le lettere romane sono iscrivibili dentro un quadrato, con alcune eccezioni, come la I , e la F e la E, che misurano esattamente la metà larghezza di un quadrato. I romani scolpivano le loro lettere con le aste che terminavano in un’espansione, che al giorno d’ oggi viene chiamata“grazia”. 
Le “grazie”sono un’enfasi sulla fine di ciascuna asta o arco che disegna la lettera, e sono molto usate anche al giorno d’oggi. 
Le stesse lettere previste dai browser settati di default sono lettere dotate di queste “grazie”. 
Le lettere romane avevano il tratto diseguale, che poteva partire leggero, divenire più pesante durante il percorso, e tornare leggero prima di terminare nelle grazie. O -al contrario- alleggerirsi durante il disegno di un’asta e tornare più pesante presso la sua estremità. L’origine di questo andamento si spiega perchè le lettere da scolpire venivano disegnate prima con un pennello, e poi lo scalpellino (che magari non sapeva cosa significassero)“andava dietro” il dipinto. 
Provando a disegnare una lettera con il pennello con andamento sicuro e leggero si prova pian piano questa naturale variazione di pressione, e lo scalpellino si trovava a imprimere nella pietra in modo durevole la leggerezza di questi passaggi di pennello sulla pietra. 




Ecco la probabile tecnica per le iscrizioni romane. Venivano tracciati prima dei quadrati, in modo che si sapesse dove iniziava e finiva la scritta. Forse si disegnavano anche le diagonali. Fatto questo, si passava col pennello a disegnare le lettere, che nella loro generalità avevano una forma quadrata, e seguivano spesso le diagonali (notate la M e il tratto orizzontale della A). 
Ora poteva avere inizio l'operazione di incisione vera e propria. Per ragioni tecniche (ovvero, per poter tenere liscio il solco esterno) la sezione del solco inciso era a V.



L'UNCIALE
Questa scrittura nasce probabilmente in Africa poco prima dell'epoca cristiana.  E proprio i cristiani favoriscono il diffondersi di questo font, probabilmente perchè lo ritengono alternativo e contrapposto ai font ufficiali di Roma. Questi ultimi ricordano infatti le iscrizioni sui monumenti pagani, l'unciale ha una storia meno compromessa con il paganesimo.
L'unciale ha una buona diffusione tra il tardo impero e l'inizio del medioevo, fin che (in epoca carolingia, ormai più vicina all'anno mille che ai primi secoli del cristianesimo) verrà travolto da un nuovo carattere che influenzerà la scrittura fino ai giorni nostri. Oggi la scrittura si fonda  da un lato sul font romano e dall'altra su quello carolingio, tuttavia l'unciale ha contribuito non poco alla formazione del carattere carolingio. Mentre le lettere ufficiali romane, le maiuscole,  sono basate su quadrati e contengono molte aste rettilinee, l'unciale tende a forme tondeggianti, relativamente vicine alla nostra scrittura corsiva, anche se con una cura decorativa più pesante rispetto alla media dei caratteri preferiti dai nostri tempi.  L'unciale tiene dunque banco nei manoscritti per molti secoli, e dato che in proprio quel periodo  la bella scrittura è usata principalmente per testi a sfondo religioso, ancor oggi questo font richiama in qualche modo  testi liturgici o religiosi.



 IL MEDIOEVO
Durante il Medioevo si iniziarono a copiare molti codici antichi.
Le iscrizioni tipiche passano dalla pietra alla cartapecora, dallo scalpello al penninoI monaci lavoravano con un pennino ricavato da una penna d'oca. Questa  veniva prima lasciata macerare in un liquido acido, e poi "bruciata" (scaldata) e infine tagliata in modo da dargli la forma di un pennino non dissimile da quelli moderni, ma con la punta un po' più squadrata. 
Questo comportava un fenomeno durato fino all'arrivo dei pennini d'acciaio: i vari tratti avevano uno spessore diverso a seconda se si tracciava la riga con la parte larga o la parte stretta della punta. Si avevano così delle aste di diverso spessore (si veda la sezione dedicata alla calligrafia)
Durante il Medioevo nacque anche il corsivo moderno. Trascrivendo i codici antichi il pennino tendeva a "semplifIcare" la scrittura solenne. L'incisore di una lapide non aveva problemi a seguire più o meno rapidamente un tratto. Invece il copista( se semplificava certi passaggi di penna) poteva raddoppiare o triplicare la velocità del suo lavoro. 
In ogni caso, con diverse semplificazioni dal solenne maiuscolo romano nasce il moderno corsivo, mantenendosi il maiuscolo solo per le lettere a inizio frase, per i titoli o per i nomi.

Nei Paesi nordici successivamente si sviluppa un font molto caratteristico, chiamato gotico. E' uno stile che perde la scrivibilita nel quadrato tipica sia dello stile romano che di quello caolini, per assumere una caratteristica molto "verticale". 

Perchè questa verticalizzazione, e così esasperata?
 Alcuni pensano che la motivazione fosse di tipo economico: la cartapecora su cui si scriveva era infatti costosissimo. Stringere le lettere significava risparmiare un sacco di carta pecora...
Altri vedono in questo stile il riecheggiare della verticalita tipica dell'epoca, e che si estrinseca anche nella costruzione delle cattedrali e degli edifici gotici.
E' possibile che entrambe le cause abbiano contato: in ogni caso, ecco nascere questo stile così duro ma molto fiorito, che si arricchisce di svolazzi e sopratutto di iniziali che divengono vere e proprie pagine illustrate. 

 IL RINASCIMENTO 

Nell'Europa meridionale (e particolarmente in Italia e in Spagna) non si usava questo stile, ma erano preferiti dei caratteri più dolci e più simili all'alfabeto romano o carolingio. Anche qui i caratteri tendono tuttavia a divenire più stretti. 
In Italia nasce il "corsivo", ovvero la scrittura inclinata verso destra. Il corsivo conferisce un senso di grande eleganza ma anche di maggior confidenzialità, e si allontana dalla solennità del maiuscolo romano.


La Cancelleria pontificia inviava  lettere in questo stile ai vari vescovi e regnanti; questo stile divenne il tipico stile "regale". Dalla parola "cancelleria" deriva il suo nome di "cancelleresco" (usato in Italia) o di "cancery" (usato in Inghilterra).
Gli angolosassoni ancor oggi chiamano il corsivo Italic, perchè lo vedevano su queste lettere che venivano dall'Italia. La mala  traduzione "italico" è tuttavia da deplorare, in Italiano il corsivo si chiama "corsivo", e chi traduce i libretti di istruzione informatici con la parola "italico" dimostra di non conoscere la lingua in cui traduce... 
Nella foto sopra, un esempio di stile cancelleresco compitato a Roma nei primi decenni del 1500.Qui sotto, un altro esempio stilato in Venezia nella seconda metà dello stesso secolo. 


LA STAMPA

E' interessante notare che quando venne inventata la stampa a caratteri mobili (ai tempi di Gutemberg, e in area dove si usava lo stile gotico), si costruirono dei caratteri che cercavano di imitare la scrittura  a mano.
Ma anche in area tedesca pian piano la stampa adottò dei caratteri più simili a quelli romani, al punto che il gotico fu dapprima relegato per scritte particolari, ma alla lunga uscì dal mondo della carta stampata. 
In quest'epoca vi sono dei tipografi-designer che formano dei caratteri molto leggibili, con eleganza e proporzioni eccellenti. Alcuni di questi caratteri sono ancora usati oggi. 

Quindi la stampa (pur nata in ambiente gotico) assume i caratteri meridionali, e questi pian piano riconquistano tutto il Nord. Il fulcro delle "belle lettere" passa dal pennino alla stampa.

Le proporzioni delle lettere e delle grazie sono molto studiate, in modo da creare delle proporzioni che diano un senso di profondo equlibrio. 
I tipografi infatti possono porre un grande impegno nel fabbricare ciascuna lettera con un livello qualitativo, con precisione estrema e analisi formale mai vista fino ad allora: una volta realizzata, ciascuna lettera può infatti servire per stampare molti libri, e diffondere in tutto il mondo conosciuto la  qualità del proprio lavoro e la testimonianza del proprio buon gusto.
In questo periodo si ha un fiorire di caratteri bellissimi, dal settecentesco Bodoni (veneziano)  al Garamond, fino (all'inizio degli anni '30) ad arrivare al carattere forse ancor oggi più usato. Che sarebbe il "New Roman" (come vollero chiamarlo i suoi designer)  o (come si chiama comunemente oggi traendo il suo nome dal quotidiano 
che lo commissionò) il "Times" .
Per vedere una svolta decisiva nel mondo dei font occorre arrivare ad un'epoca molto più recente, quando ai caratteri con grazie si affiancano (senza per altro soppiantarli) quelli senza grazie.