giovedì 24 gennaio 2013

NAPOLI

Qualche informazione su un posto a me molto caro...
con storie che fanno venire i brividi

da wikipedia:


L'isola trae la propria denominazione dalle cavità che costellano la costa di Posillipo (dal latino cavea: "piccola grotta", e dunque attraverso la forma dialettale "caviola"). In origine, la piccola isola fu nota come "Euplea", protettrice della navigazione sicura e fu caratterizzata da un piccolo tempietto.
L'isola, come già accennato, è molto vicina alla costa, raggiungibile con poche bracciate di nuoto. Si suppone che, in origine, nient'altro fosse che il prolungamento del promontorio dirimpetto e che sia stata separata artificiosamente solo in un secondo tempo per volere di Lucullo.
Nel XVII secolo vediamo che questo lembo di terra era praticamente cosparso di fabbriche romane; mentre, due secoli dopo, l'isola fungeva da batteria a difesa del golfo. Negli anni venti è stata in funzione una teleferica che collegava l'isola alla terraferma[1].
All'inizio del XIX secolo, l'isola era abitata da un eremita, soprannominato "Lo Stregone", il quale viveva dell'elemosina dei pescatori. Poco dopo, l'isola vide la costruzione di una villa che la caratterizza ancora oggi. La villa, che nasce in posizione privilegiata, fu anche di proprietà del celebre Norman Douglas, autore della Terra delle Sirene.
La popolazione del luogo, generalmente, non ha mai visto di buon occhio la Gaiola, considerandola una sorta di "isola maledetta", che con la sua bellezza nasconde "sorti inquiete", nomea dovuta alla frequente morte prematura dei suoi proprietari; ad esempio, negli anni venti del 900, appartenne allo svizzero Hans Braun, il quale fu trovato morto e avvolto in un tappeto; di lì a poco, la moglie annegò in mare. La villa passò così al tedesco Otto Grunback, che morì d'infarto mentre soggiornava nella villa. Simil sorte toccò all'industriale farmaceutico Maurice-Yves Sandoz che morì suicida in un manicomio inSvizzera; il suo successivo proprietario, un industriale tedesco dell'acciaio, il barone Paul Karl Langheim, fu trascinato al lastrico dagli efebi e dalle feste, dei quali di solito amava circondarsi[1]. Infine, l'isola è appartenuta a Gianni Agnelli che subì la morte di molti familiari; passò poi a Paul Getty che fu ricattato dallo stesso nipote e, successivamente, a Gianpasquale Grappone, che rimase coinvolto nel fallimento della sua società di assicurazioni "Colombo" nel 1978.
Messa all'asta, l'isola è diventata proprietà della Regione Campania.




DA GIALLI.IT
La maledizione nell’ultimo secoloNel 1926 la villa era collegata alla terraferma da una rudimentale teleferica. In una notte di tempesta il cavo si spezzò mentre una signora tedesca, Elena Von Parish, stava rientrando sull’isola. La donna venne rapita dal mare e sparì. Hans Praun e Otto Grumbach, che ospitavano la donna alla Gaiola, furono talmente scossi dalla vicenda che si suicidarono: uno subito, e l’altro qualche tempo dopo aver fatto ritorno in Germania.
Questa vicenda, nel freddo piovoso dicembre napoletano, aprì le porte alla leggenda della Maledizione della Gaiola. Vennero infatti ricollegati due precedenti infausti eventi. Verso la fine del XIX sec. il primo proprietario e costruttore della villa, Luigi de Negri, mandò in fallimento la sua Società della Pescicoltura del Regno d’Italia nel Mar di Posillipo, che aveva sede proprio alla Gaiola. Invece nel 1911 il Capitano di Vascello marchese Gaspare Albenga, per far ammirare la costa alla marchesa Boccardi Doria, fece incagliare l’incrociatore corazzato San Giorgio sulla secca della Cavallara, proprio in prossimità della Gaiola.
In breve tempo l’isola venne comunemente riconosciuta come jellata, e gli eventi che seguirono alimentarono ulteriormente questa leggenda.  Una barca di scugnizzi marinaretti del collegio Ascarelli-Tropeano fu travolta nel 1931 dalle onde sullo stesso scoglio della CavallaraMaurice Sandoz, titolare della nota casa farmaceutica, abitò sull’isola negli anni 1950, ma finì in una clinica psichiatrica dove si suicidò convinto di essere finito in bancarotta.
Qualcuno cercò di cambiare la fama sinistra della villa. Il barone tedesco Paul Karl Langheim negli anni a cavallo del 1960 fece brillare di vitalità quell’angolo di Posillipo, organizzando feste ed incontri mondani. Un periodo tanto splendente da mandarlo rapidamente sul lastrico.
Fu allora che Giovanni Agnelli acquistò la villa, lasciandola generosamente ancora per qualche tempo in uso a Langheim. Il re dell’automobile fece alcune importanti opere come l’eliporto, ma ci andò di rado e la rivendette rapidamente ad un altro miliardario. Paul Getty, magnate del petrolio, entrò in possesso della villa  nel 1968. A lui tutto filò liscio fino al 1973, quando la ‘ndrangheta rapì il figlio. Dopo l’amputazione di un orecchio del ragazzo, la famiglia Getty pagò un riscatto di 17 milioni di dollari.
Nel 1978 l’isola passò a Gianpasquale Grappone, detto Ninì, creatore del Loyd Centauro. Finì in galera travolto dai debiti, ed il giorno in cui la villa fu messa all’asta, la moglie Pasqualina Ortomeno morì in un incidente stradale.
La proprietà sull’isola infine andò nelle mani della Regione Campania, che la affittò a varie associazioni. Nessuna di queste però mantenne la promessa di restaurare l’edificio, e la cattiva fama della villa non fu mai cancellata.
Il periodo classico, la magia medioevale e le disgrazie antiche.L’area della Gaiola è costellata di ruderi dell’epoca romana. Lì vi fu la villa di Publio Vedio Pollione, un uomo della cui vita si sa poco. Di certo allevava murene in apposite vasche scavate nel tufo, e di tanto in tanto le cibava gettando schiavi vivi, quelli che si mostravano un po’ maldestri.
La fama spietata del romano sicuramente contribuì alla creazione di miti e leggende legate alla zona del Pausilypon, ovvero la costa tra Trentaremi e Marechiaro. Fino al XIX secolo era ben visibile accanto all’isola della Gaiola un edificio romano semisommerso chiamato la Scuola di Virgilio. Nell’interpretazione medievale del poeta-mago, questo era il luogo dove il vate insegnava arti magiche. Non c’è quindi da stupirsi dell’interesse esoterico verso questo tratto di costa, dove venivano incantate pozioni ed eseguiti riti magici. Una variante della leggenda della Gaiola vuole che lo specchio d’acqua intorno all’isola sia stato inquinato proprio dai resti delle pozioni create lì. Da cui il maleficio si sarebbe diretto verso chi vi permaneva per troppo tempo.
Si sa, la storia dell’uomo è un percorso a ostacoli. Difficoltà e disgrazie di ogni genere vengono riportate nei racconti e nelle memorie di chi li ha vissuti. Così, nel ricostruire la storia della jettatura della Gaiola, possiamo ritrovare un paio di eserciti liberatori sbarcati lì nel XVII sec., e repentinamente annientati dagli occupanti spagnoli.
Un’altra leggenda tramandata dal passato vorrebbe sull’isola un tempio della Venere Euplea, protettrice dei naviganti. Pare che l’origine di questa convinzione risieda nell’antico nome dell’isola, Euploea, come riportato da Stazio e dal Pontano. Dopo i recenti avvenimenti che hanno coinvolto la famiglia Ambrosio, proprietaria della villa prospiciente l’isola, si è riaccesa la teoria della dea pagana come causa della jettatura.Ivan Cuocolo, docente di lettere presso le scuole superiori e appassionato delle storie sulla Gaiola, avrebbe individuato proprio nella fine del paganesimo la causa della maledizione. La dea Euplea sarebbe adirata con i profanatori del luogo sacro.
Una foto dimenticata, una nuova tessera nel puzzle del misteroNel 1820 l’archeologo Guglielmo Bechi acquistò l’area del Pausilypon ad un asta. Iniziò grandi lavori di scavi e portò alla luce alcuni edifici romani rimasti sepolti per secoli. Decise di costruire una villa panoramica sul promontorio prospiciente l’isola, e nel farlo incluse sia una cappella dedicata a S.Basilio,  sia alcuni ruderi romani adiacenti. Alla sua morte la figlia vendette tutta la proprietà al Negri, che nel 1874 costruì la tristemente celebre villa sull’isola. Quando l’imprenditore finì sul lastrico, l’intera proprietà fu acquistata dal marchese del Tufo.
Creando danni archeologici inestimabili, il marchese scavò una cava di pozzolana proprio tra villa Bechi e lo Scoglio di Virgilio, come ricorda Robert Theodore Gunthernel suo libro Posillipo Romana. Di certo del Tufo trovò alcuni oggetti romani durante gli scavi, tra cui una statua di figura femminile, ma non passò alla storia per le sue attenzioni verso la storia e l’arte romana. La proprietà passò poi a Gennaro Acamporae successivamente all’ammiraglio inglese Nelson Foley, cognato di Conan Doyle il creatore di Sherlock Holmes. Foley cedette la villa sulla terraferma a Norman Douglasda cui la riacquistò dopo alcuni anni. Infine fu la vedova Foley a vendere al senatoreGiuseppe Paratore la villa sulla terraferma nel 1910.
Nei decenni  a seguire si verificarono molte delle tragedie legate all’isola, mentre la famiglia Paratore sulla terraferma si godeva una vita serena. Augusto F. Segre, affezionato nipote del senatore, passava le estati insieme agli zii alla Gaiola. Come raccontato nell’articolo Storie e ricordi della Gaiola, scritto insieme al fratello Aldo nel 2003, verso la metà degli anni 1960 fece una incredibile scoperta.
Dovendo sistemare una libreria su di una parete di un salottino, venne levata una tela anti-umidità posta da Douglas. Dietro la tela apparve un affresco quadrato raffigurante una grande testa terrificante, di più di un metro di larghezza, forse raffigurante unagorgone. “Nostro zio, convinto che quel volto mostruoso portasse sfortuna, lo fece nascondere dietro una parete a matton per ritto”, raccontano i fratelli nel loro articolo. Ma Augusto Segre riuscì a fotografarlo prima dell’occultamento.
Un  membro dell’Istituto del Restauro a Roma, dopo aver visto la fotografia del mascherone, ha classificato l’affresco come una manifestazione della pittura detta impressionistica tardo-romana, databile tra il 2° e il 3° secolo d.C.
Il  Gunther conferma di aver riscontrato negli scavi archeologici di Pausilypon alcune pareti affrescate con tagli quadrilaterali. Quindi tutto lascia supporre che il mascherone sia stato sottratto dal suo luogo d’origine e poi apposto nella villa Paratore, ora villa Ambrosio, da uno dei precedenti proprietari della zona archeologica.
Poche certezze riguardano questa immagine, visto che nessuno si è mai interessato a saperne di più. I greci usavano raffigurare la Medusa decapitata per proteggersi dai nemici, e forse gli Ambrosio ignoravano di avere un simbolo protettivo in casa, anche se ad aprile stavano ristrutturando la villa.
Un affresco romano dal significato duale: porta-jella e protettivo. Il suo spostamento, l’occultamento, il silenzio sulla sua esistenza: si tratta di nuovi elementi per gli appassionati del mistero della Gaiola? Oppure è una storia di ordinario vandalismo archeologico dell’era moderna?
Cercasi Indiana Jones disponibile a far quadrare il cerchio.
(29 giugno 2009)

Gialli.it




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